Un racconto di idee che si fanno opera attraverso un gioco di apparenze per il quale ogni cosa appare diversa da ciò che, ad un primo sguardo, potrebbe sembrare; Il grande aeroplano, posto all’ingresso, resta ancorato a terra dalla sua anima in acciaio che, pure, riveste di una corazza scintillante la sequenza di post-it dalle scritte ironiche, rendendoli imperituri. Implicito il desiderio di leggerezza, di spiccare il volo, esplicita la forza che, nella realtà del vivere, ci trattiene al suolo.
Nulla è ciò che sembra: la carta è metallo, le battute divertenti scritte sui post it sono in realtà riflessioni, ed una sottile critica, delle dinamiche interne al “sistema arte”: “I wish I were a more sophisticated piece of art”, “Anyone can do this”, “Nothing meaningful here”, “If you read this in a museum cheers on me”, “When I bought this artwork I clearly had too much champagne”. Una sorta di metalinguaggio per il quale il pensiero diventa l’essenza primaria dell’opera.
Ciò che conta, per Sigalot, è l’idea che soggiace alla forma; un’idea che si palesa rincorrendone altrettante che giacciono silenti e che l’opera porta in luce, svelando le fondamenta del processo creativo d’artista; I grandi totem di cattive idee accartocciate ed impilate l’una sull’altra, sulle quali a volte torreggia una buona idea ben ripiegata, assurgono quindi ad istantanee del processo creativo, e si fanno testimoni di una sorta di redenzione delle idee, alle quali Sigalot, per il tramite dell’opera, regala una seconda chance. Dopotutto cosa rende un’idea migliore di un’altra? Una cattiva idea non può forse farsi buona in altre circostanze? Chi siamo noi per giudicarne in eterno il valore? In assenza di una formula matematica che ci consenta di decodificare la questione, l’artista esplora lo spazio intermedio ove giacciono le idee silenti e le trasforma in Totem verticali condensandone la memoria; una raccolta che potrebbe continuare all’infinito, così come senza fine è il pensiero dell’uomo, ed il tempo che scorre. E proprio il tempo è il protagonista dell’installazione luminosa intitolata Enough. Un countdown di 31556908800 secondi che inizierà a contare, senza mai smettere, anche da spento, appena l’artista lo attiverà. Il grande cronometro, con i numeri dalla luce rossa, ci induce verso una riflessione, quasi un atto di fede, nell’arte e nella sua capacità immaginifiche.
E ancora, l’inganno tra ciò che appare e ciò che soggiace alle apparenze, si manifesta nuovamente nella installazione site -specific di migliaia di capsule colorate, dalla parvenza di cristalli, che va ad occupare l’intero perimetro del giardino d’inverno; visione psichedelica, mosaico post-moderno e spettacolare creato con l’oggetto più semplice e meno spettacolare del mondo: una capsula. Sigalot: ”...anche qui il contrasto la farà da padrone, il desiderio di creare il bello col brutto, di ingannare chi guarda, di far ridere togliendo la maschera al serioso ruolo dell’artista, ma anche quello del curatore, o del collezionista stesso. Un lavoro alchemico di trasformazione, dove stupire e ingannare la mente sono le uniche regole di questo gioco che vive di equivoci, sia semantici che semiotici”.
Daniele Sigalot elabora un percorso fatto di idee che si fanno opera e al tempo stesso di opere che ritornano ad essere idee, creando una sorta di metalinguaggio per la presa di consapevolezza che nulla è ciò che sembra, e per il desiderio di allargare lo sguardo a cogliere anche ciò che l’occhio non vede ma che pure esiste.
L’artista è allora inteso come strumento, come colui che media; il tramite per il quale il “mondo delle idee” si fa “mondo delle cose”. L’ironia sta in questo sguardo, fintamente ludico e giocoso che in realtà coglie le dinamiche implicite all’esistenza e le racconta attraverso il suo gesto d’artista. Ecco allora la “Lettera al futuro”, e la “Lettera al destino”, giocate sul doppio binario: l’uso della parola per attivare riflessioni sul piano concettuale e l’impatto visivo creato attraverso il ripetersi dei contrasti. L’eterno quesito: che cos’è la realtà? se è relativa ad ognuno di noi, secondo un sillogismo perfetto, la realtà siamo noi, dunque le cose esistono così come noi le vediamo.
Sigalot ci invita alla leggerezza, a lasciare scorrere lo sguardo libero, ad attivare, attraverso il linguaggio dell’ironia, paesaggi paralleli, per aprire la nostra visione ad abbracciarne molteplici, tutte ugualmente possibili e ipoteticamente esistenti, e tutte ugualmente valide. Ed è nell’attimo in cui ci soffermiamo ad ascoltarle che esse, magicamente, prendono vita. Ed è in quell’attimo che il mondo, così come noi lo vediamo, ci appare un arcobaleno di mille colori.